Sirene: un viaggio fantastico da Scilla e Cariddi all’Isola che non c’è

In un mondo come il nostro, che tende a spingerci ogni giorno verso il baratro della routine e del dovere, facendoci dimenticare persino che siamo vivi, è necessario trovare qualcosa che riesca a farci evadere verso realtà diverse. L’unico modo che abbiamo per farlo è attraverso una cosa che troppo spesso teniamo chiusa nel cassetto, ovvero la fantasia. La fantasia e l’immaginazione sono le uniche cose gratis in grado di renderci felici, seppur in modo temporaneo.

Ed è inevitabile che, nella nostra realtà, dove ciò che non si paga è visto con sospetto, le persone abbiano messo da parte l’immaginazione per fare spazio a false promesse di felicità ben incartate e pubblicizzate: si preferisce un gioco alienante su uno smartphone a una storia di cui potenzialmente potresti decidere trama e colpi di scena. E’ più facile affidarsi completamente a un qualcosa che un altro ha deciso che va bene per te, piuttosto che prenderci la briga di crearci il nostro attimo di svago da zero.
Ma va bene così, perché è in questo contesto così arido e automatizzato che mi inserisco io. Anche se le storie non vanno più di moda, sono sicura che la curiosità faccia ancora l’uomo ladro e questo mi basta per sentirmi in diritto di parlare di uno dei più antichi e affascinanti miti di sempre: il mito delle sirene.

LE SIRENE NELL’ANTICHITA’

I primi a parlare di questi esseri fantastici sono stati gli Assiri (intorno al 1000 a. C), con la leggenda della dea-luna Atargatis, mezza donna e mezza pesce, madre della regina assira Semiramide. Gli Assiri credevano che il sole e la luna si tuffassero nel mare alla fine dei loro viaggi attraverso il cielo e, dunque, era più che normale che avessero un corpo che permettesse loro di vivere sia fuori sia dentro l’acqua. La dea Altargatis era innamorata di un semplice mortale, ma lo uccise involontariamente. Vergognandosi dell’omicidio commesso, saltò in acqua trasformandosi in una sirena.

“E’ donna per metà della sua lunghezza; ma l’altra metà, dalle cosce ai piedi, si dilunga in una coda di pesce”.– Luciano di Samosata, De Dea Syria Parte 2, Capitolo 14

Nell’antica tradizione greca, invece, prima di essere note come creature marine le sirene erano immaginate come metà donne e metà uccelli. L’origine letteraria del termine sirena arriva dall’ Odissea di Omero, nella quale, queste creature vengono presentate come delle ‘guardiane’ cantatrici di un’isola, a ridosso di Scilla e Cariddi. Nell’ episodio tratto dal racconto greco le sirene attiravano i marinai con il loro canto per farli naufragare sugli scogli, pronte a rapirli e a divorarli.

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“Avvicinati dunque, glorioso Odisseo, grande vanto dei Danai, ferma la nave, ascolta la nostra voce. Nessuno mai è passato di qui con la sua nave nera senza ascoltare il nostro canto dolcissimo: ed è poi ritornato più lieto e più saggio. Noi tutto sappiamo, quello che nella vasta terra troiana patirono Argivi e Troiani per volere dei numi. Tutto sappiamo quello che avviene sulla terra feconda.”Odissea, canto XII.

Si dice che Omero avesse descritto il loro aspetto fisico basandosi su una nozione già consolidata con le avventure di Giasone e degli Argonauti. In questo racconto le sirene avrebbero avuto invece il compito di consolare le anime dei defunti accompagnandole, con il loro canto, nell’Ade.

“Le sirene lo stregano con il loro canto soave, sedute sul prato; intorno hanno cumuli d’ossa di uomini imputriditi, dalla carne disfatta”- le sirene spiegate da Circe a Ulisse.

LE SIRENE IN ORIENTE

Nel lontano oriente, le sirene erano le mogli dei potenti draghi del mare, sicure messaggere tra i loro sposi e l’imperatore sulla terra.

Le ningyo invece sono le sirene del Giappone. Secondo la mitologia  non sarebbero fanciulle affascinanti dalla coda di pesce come le leggendarie sirene della cultura occidentale, bensì esseri orribili e terrificanti: pesci con un viso umano e spesso corna o altri particolari diabolici, oppure creature più simili a scimmie con  corpo e denti da pesce, squame dorate e brillanti e la voce simile a quella delle allodole. Si dice inoltre che fossero famose per le loro carni, profumate, deliziose e con l’incredibile capacità di allungare la vita o addirittura donare immortalità. Il momento ideale per la cattura sarebbe prima delle tempeste.

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Le antiche scritture giapponesi raccontano che nel XVII secolo, a Wakasa, un pescatore notò una sirena appoggiata ad uno scoglio e la uccise. Nel ritorno verso riva però, colto forse dal senso di colpa, la rigettò in mare. Dal quel giorno, per diciassette giorni, una terribile tempesta sconvolse la costa, seguita da un violento terremoto, che aprendo una voragine nel terreno, risucchiò la città di Ootomi. Molti credono che l’evento fosse una punizione scagliata dal Dio del Mare.

LE SIRENE NELLE ISOLE BRITANNICHE

Nelle mitologie anglosassoni e norrene, la sirena viene invece assimilata ad altre figure come ad esempio ninfe e spiriti acquatici.ninfe

«Come una donna fino alla vita, lemani lunghe e i capelli morbidi, il collo e la testa a tutti gli effetti come quelli di un essere umano. Le mani sembrano lunghe e le dita non sono separate, ma unite in una rete come quella sui piedi degli uccelli acquatici. Dalla vita in giù questo mostro sembra un pesce, con scaglie, coda e pinne. Si mostra soprattutto prima di forti temporali.  Quando i marinai la vedono giocare con i pesci o gettarli verso la nave, temono di essere condannati a perdere diversi membri dell’equipaggio, ma quando getta il pesce dalle imbarcazioni i marinai lo prendono come il buon auspicio che non soffriranno perdite nella tempesta in corso. Questo mostro ha una faccia orribile, con ampia fronte e gli occhi penetranti, una bocca larga e il doppio mento».– dallo Speculum Regale.

Nella mitologia scozzese Ceasg è una sirena dalla coda di salmone che, se catturata, in cambio della libertà esaudisce tre desideri. Tuttavia chi se ne innamora è destinato a disperdersi nelle profondità marine

Con l’avvento del cristianesimo la leggenda delle sirene si adeguò ai tempi. Nacque la versione della sirena che desiderava avere un’anima ma che, per conquistarsela, doveva promettere di vivere sulla terra rinunciando al mare. La promessa, impossibile da mantenere, condannava le sirene a una perpetua e infelice lotta con se stesse.

pirati dei caraibiSecondo una storia del VI secolo d. C., una sirena si recava tutti i giorni da un monaco di Iona, un’isoletta scozzese. Pregava con lui perché Dio le concedesse un’anima e la forza di lasciare il mare. Nonostante la sincerità del suo desiderio e il suo amore per il monaco, la sirena fu incapace di rinunciare al mare. Le lacrime che pianse abbandonando l’isola si trasformarono in sassi e, ancora oggi, le pietre verdi della costa di Iona si chiamano “lacrime di sirena”.

Una piccola curiosità: questa leggenda è stata ripresa anche nel quarto capitolo di “Pirati dei Caraibi”-Oltre ai confini del mare.

LE SIRENE NEL FOLKLORE SLAVO

Le Rusalki sono la controparte slava delle sirene:  erano le anime di giovani donne suicide, morte per annegamento o uccise nei pressi di laghi e fiumi, spesso dai loro amanti o dalle loro madri. Tornavano poi a infestare il luogo in cui erano morte, ma non avevano un carattere malvagio. Se la loro morte veniva vendicata, potevano trovare finalmente la pace e scomparivano. Ma potevano diventare Rusalki anche donne che di notte si imbattevano in un corteo di queste creature leggendarie. In questo caso non potevano più tornare a casa e il mattino dopo la loro famiglia trovava una ghirlanda di fiori nei pressi della casa.

AVVISTAMENTI CELEBRI E LE SIRENE NELLA LETTERATURA

Esistono molte altre storie di uomini venuti in contatto con le sirene.

1493: Cristoforo Colombo vede tre sirene saltare in mare. Colombo scrisse nel diario della sua nave: «non erano così belle come vengono dipinte, anche se in qualche misura hanno un aspetto di un uomo in volto».

1590: William Shakespeare scrive nell’opera “Sogno di una notte di mezza estate“:

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«Appressati, Puck. Tu certo ben ricordi quando dalla cima d’un alto scoglio udii una sirena assisa sul dorso di un delfino la quale effondeva nell’aria tanto soavi ed armoniosi accenti che il rude mare s’ingentilì al suo canto, e alcune stelle, impazzite fuori balzaron dalle sfere per ascoltare la melodia dell’equorea fanciulla marina».

1614: il capitano John Smith, conosciuto soprattutto per Pocahontas, vide una sirena al largo della costa del Massachusetts e scrisse:

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«La parte superiore del suo corpo è perfettamente simile a quello di una donna e stava nuotando con tutta la possibile grazia vicino alla riva». Aveva «grandi occhi un po’ troppo rotondi, un naso finemente formato (un po’ troppo corto), orecchie ben fatte, un po’ lunghe e i suoi lunghi capelli verdi le impartivano un carattere curioso tutt’altro che poco attraente».

1836: Hans Christian Andersen scrive la fiaba della “Sirenetta“, ben diversa da come narrata dalla Disney. La sirenetta infatti si serve del principe poiché l’unico modo che ha di avere un’anima immortale come quella degli uomini è sposare un uomo; le condizioni che la strega del mare le pone all’avverarsi del suo desiderio inoltre sono tutt’altro che disneyane, infatti:

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“A ogni passo che farai, sarà come se camminassi su un coltello appuntito, e il tuo sangue scorrerà. Una volta che ti sarai trasformata in donna, non potrai mai più ritornare a essere una sirena! Non potrai più discendere nel mare dalle tue sorelle. E se lui sposerà un’altra, il primo mattino dopo il matrimonio il tuo cuore si spezzerà e tu diventerai schiuma dell’acqua!”

E, dato che il principe alla fine sposa davvero un’altra donna, per salvarsi è costretta a compiere una vera e propria strage (che certamente non poteva far parte del cartone animato):

“Prima che sorga il sole devi infilzarlo nel cuore del principe; quando il suo caldo sangue bagnerà i tuoi piedi, questi riformeranno una coda di pesce e tu ridiventerai una sirena e potrai gettarti in acqua con noi e vivere i tuoi trecento anni prima di morire e diventare schiuma salata.”

 1911: Infine, uno dei miei autori preferiti, J.M.Barrie, descrive così il momento in cui appaiono le sirene, nella laguna della sua Isola che non c’è, nel libro Peter e Wendy:

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” Se strizzate gli occhi e siete fortunati, potreste avere la ventura di scorgere una macchia informe, di un delicato azzurro pallido, sospesa nell’ oscurità. Se li strizzate con più forza, la chiazza comincerà a prendere forma e il colore si farà così vivido che , sforzandovi ancor di più, lo vedrete farsi rosso come il fuoco. Ma un attimo prima che diventi rosso come il fuoco, vedrete apparire la Laguna. Sulla terraferma è questo l’unico momento paradisiaco. Se potessimo avere a nostra disposizione un secondo momento, riusciremmo a vedere le onde spumeggianti e le sirene che cantano.”

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Al di là dello Specchio

Una delle cose che ha sempre suscitato in me un certo interesse , nonché una buona dose di inquietudine, è lo specchio. Sono molte le leggende e le storie che ruotano attorno a questo oggetto; alcune storicamente supportate e altre apprezzabili da chi, come me, ama tutto ciò che ricopre con un velo di mistero un’esistenza fin troppo votata al reale e alla normalità.

Lo specchio viene considerato, erroneamente a mio parere, un arbitro imparziale: riflette le cose così come sono e così come appaiono davanti a lui, ma se ci pensiamo un attimo….

La nostra immagine nello specchio non rappresenta noi, bensì un nostro doppio, perfettamente opposto e a noi speculare. Lo specchio è l’eterno inganno e l’uomo, che per natura tende ad affidarsi a chi promette verità assoluta, si illude nel riflesso di sé stesso e si perde in esso, fino a raggiungere nuovi mondi, destinati solo a chi sa guardare oltre quel vetro.

“Alice stava sulla mensola del caminetto mentre diceva così, sebbene non sapesse spiegarsi come fosse arrivata lassù. E certo il cristallo cominciava a svanire, come una nebbia lucente. L’istante dopo Alice attraversava lo specchio e saltava agilmente nella stanza di dietro.”

Così come capitò ad Alice, che decise di oltrepassare lo specchio per entrare nel mondo fantastico che vi era dietro. Carrol non è l’unico che ipotizza l’esistenza dell’Altro Mondo al di là dello specchio.

Esiste una leggenda cinese, riportata alla luce dallo scrittore Argentino Jorge Luis Borges che narra di come il mondo degli specchi e quello degli uomini, una volta, fossero comunicanti ma allo stesso tempo, estremamente diversi: non coincidevano né i colori, né le forme di coloro che li popolavano. I due regni vivevano in pace e attraverso gli specchi si entrava e si usciva. Una notte gli abitanti del mondo speculare invasero la nostra realtà e, dopo sanguinose battaglie, gli uomini, capeggiati dall’Imperatore Giallo, prevalsero e ricacciarono indietro gli invasori, imprigionandoli negli specchi e imponendo loro il compito di ripetere tutti gli atti degli uomini come punizione perpetua.

aliceLo specchio è stato inoltre associato più volte all’arte della divinazione. Attraverso lo specchio era possibile avere una visione di ciò che il futuro ci avrebbe riservato.

Caterina De’ Medici, principessa italiana, andata in sposa a soli 14 anni al futuro re di Francia, Enrico di Valois, dopo la morte di quest’ultimo (predetta alla stessa Caterina dall’alquanto famoso Nostradamus), iniziò a interrogare il futuro per sapere quale sorte il destino avrebbe riservato ai suoi tre figli maschi. Caterina era talmente avvolta dal fascino dell’occultismo che fece costruire, nel castello di Chaumont, nella Loira, un appartamento, il cui unico scopo sarebbe stato quello di svolgerci un rito. Al termine del rito, la cui durata era di 45 giorni, le sarebbe stato concesso di vedere in uno specchio magico l’avvenire…

Leggenda dice che Caterina vide una scala, intorno alla quale ogni figlio, a turno, fece tanti giri quanti sarebbero poi stati gli anni del suo regno ( rispettivamente 1,14 e 15), dopo di loro si presentò Enrico Borbone, marito di una delle figlie, che fece 22 giri e poi scomparve. Inutile dire che alla morte di tutti gli eredi legittimi di Caterina, salì al trono Enrico di Borbone, che regnò per 22 anni.

Anche Enrico IV interrogava lo specchio per farsi descrivere la cospirazione politica in atto contro di lui.

SPECCHIOL’Alchimista medievale Albertus Magnus aveva addirittura scritto una formula capace di rendere magico uno specchio: “Comprane uno normale e scrivi su di esso: S.Solam S.Tattler S. Echogordner Gematur ; sotterrarlo, nelle ore dispari, in un bivio di strade; il terzo giorno vai nello stesso posto e nello stesso momento, scava, e per la prima cosa guardati nello specchio.” Se nello specchio appariva un gatto o un cane, lo specchio era divenuto magico.

Ma lo specchio è anche, per molte culture orientali, un portale tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Nella tradizione buddista giapponese vi è l’usanza di porre uno specchio di bronzo accanto alla testa del defunto, per proteggere la sua anima dalle forze del male e ancora oggi è diffusa la credenza ( o superstizione) che gli specchi riflettano l’anima o, nella peggiore delle ipotesi, che la catturino, imprigionandola per sempre al loro interno. Questo spiega l’usanza di non collocare specchi nelle stanze dei vecchi ospedali, poiché si credeva che durante la malattia , l’anima fosse più vulnerabile; spiega anche come mai, nell’immaginario collettivo, streghe o vampiri non si riflettano negli specchi: avendo stretto un patto con il diavolo, non hanno più un’anima che possa mostrarsi.

Tornando ai nostri tempi, la leggenda più creepy legata agli specchi è sicuramente quella di Bloody Mary.

bloody marySi dice che Bloody Mary sia una strega bruciata sul rogo la cui anima ritorni e si presenti a chiunque la invochi. In realtà Mary era la figlia del medico di un piccolo villaggio, che si era ammalata di tifo. Aveva la febbre altissima e giaceva a letto in stato incosciente. Sebbene fosse ancora viva, per scongiurare una possibile epidemia, il padre decise di adagiarla dentro una bara e seppellirla nel giardino fuori casa. La madre, disperata per quella atroce decisione, pensò almeno di legare al polso di Mary uno spago collegato a una campanella fissata alla porta di casa. Se fosse miracolosamente guarita o si fosse risvegliata, avrebbe udito lo scampanellio e salvato la figlia da quella tortura.

Scoperto l’astuto stratagemma, il medico somministrò alla moglie della morfina facendola cadere in un sonno profondo. Quando si fece giorno e la donna si risvegliò, corse immediatamente fuori dalla casa. Lo spago era rotto e la campanella muta, per terra. Mary doveva essersi risvegliata durante la notte agitandosi nella bara. La fecero disseppellire e si trovarono di fronte a uno spettacolo raccapricciante: Mary aveva gli occhi spalancati, il terrore ancora impresso nelle pupille senza vita. Doveva essere morta per lo spavento e per soffocamento. Il vestito imbrattato dal sangue delle dita scarnificate che avevano cercato una via d’uscita, le unghie conficcate tra le venature del legno. Si dice che lo spettro adirato della ragazzina compaia a chi la evochi ripetendo per tre volte di seguito ‘Bloody Mary’. Ai più fortunati rivelerà il futuro, altrimenti si scaglierà con le mani artigliate sul viso dello sventurato, deturpandoglielo per sempre.

In ogni tempo e luogo, l’uomo è sempre stato attirato dall’utopia dell’esistenza di qualcosa oltre il mero visibile agli occhi e per rincorrere questa chimera è stato in grado di affrontare molte delle sue paure, le ha esorcizzate e rese parte integrante della sua esistenza, tanto che, molti di questi rituali fanno parte della tradizione. Certo è che anche l’illusione attira l’uomo e lo specchio non è che questo: l’illusione di una realtà migliore, la speranza di un ponte tra vita e morte, ma soprattutto la rappresentazione di un sogno, che potrà essere fittizio e irreale, ma è una delle poche cose in grado di regalarci un attimo di spensierata felicità nella banalità di una vita normale.

Storia di una fabbricante di chiavi

Un giorno mi sono svegliata e tutto era diverso.

Improvvisamente riuscivo a trovare la forza di alzarmi dal letto e stranamente nasceva in me anche una sensazione particolare, mai provata prima, era come se fossi felice di iniziare un nuovo giorno. Prima di quel momento era tutto un rincorrere il tempo o incitarlo a sbrigarsi, ogni giorno sempre uguale, una continua attesa della sera per poi stupirsi che anche quella giornata era ormai al termine e non mi aveva lasciato nulla che valesse la pena ricordare o rivivere.

Ma quel giorno era diverso: c’era più luce e mi sembrava anche di sentire una strana musica che accompagnava ogni mio movimento, era come essersi ritrovata nel film della propria vita e accorgersi di essere la protagonista…dopo così tanto tempo in cui ero stata spettatrice, regista, suggeritrice e comparsa, adesso ero una parte attiva nella storia; rimaneva soltanto da capire che tipo di storia fosse…

Iniziò come una storia romantica, poi passammo al dramma per poi cadere nel comico e infine sprofondare nella tragedia , con qua e là qualche accenno al thriller.

L’elemento principale di questa storia sono le chiavi: chiavi che aprono porte già aperte, chiavi che chiudono porte murate dall’interno, chiavi che ancora non sappiamo cosa debbano aprire, chiavi che non apriranno mai niente, chiavi universali che aprono qualsiasi tipo di serratura, chiavi che qualcuno tiene segrete perchè aprono armadi pieni di scheletri, chiavi fin troppo facili da trovare seppur padrone di scrigni pieni di tesori, chiavi gettate in mare perchè nessuno deve sapere cosa c’è dentro al cuore di chi non  riesce mai a piangere…

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La prima chiave che trovai fu quella che custodiva il forziere della mia paura più grande: quella di essere rifiutata…non fu così difficile trovarla: era semplicemente nella mia tasca destra, sapevo che era lì, ce l’avevo messa io ma era stato tanto tempo fa, per cui non ricordavo di averlo fatto. Quando mi accorsi che era sempre stata là, decisi di prenderla, per qualche giorno rimasi a fissarla, indecisa sul da farsi ma poi alla fine scelsi di usarla, perchè quella paura mi aveva sempre bloccata, mi aveva impedito di andare avanti tante di quelle volte che la strada dell’ignoto iniziava ad apparirmi migliore di quella su cui camminavo da anni e non mi aveva portato a niente. Fu la scelta giusta.

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La seconda chiave che tenni tra le mani fu quella che mi venne regalata: era la chiave più strana che avessi mai visto, ogni istante cambiava forma e colore, a volte spariva per poi ricomparire più grande e luminescente, altre volte invece era minuscola che neanche riuscivo a tenerla tra le dita, era la chiave della scatola delle possibilità. Per la prima volta nella vita mi era stata regalata una possibilità, era come un biglietto omaggio per il tuo film preferito, era come una cena pagata nel miglior ristorante al mondo, era come un regalo che cambia ogni giorno a seconda dei tuoi desideri, era così bella che iniziai a odiarla molto presto, non appena mi resi conto di quanto fosse un’arma a doppio taglio. 

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La terza chiave la regalai io a qualcuno: era una chiave piccola, di ferro, anche un pò arrugginita, la regalai perchè sentivo che era la cosa giusta da fare, perchè sentivo che pesava troppo attaccata al mio collo e mi premeva sul petto, tanto che non riuscivo quasi più a respirare. Per questo motivo decisi di regalarla ad una persona, alla persona che mi aveva dato la chiave della possibilità e per cui io avevo aperto il forziere della mia paura. Prima di capire cosa aprisse quella chiave ci mise un pò ma con il tempo capì e ne fu sorpreso e anche spaventato, nonostante questo decise di accettarla, così da quel giorno il cassetto del mio cuore si svuotò e fu suo. Fu una scelta affrettata.

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La quarta chiave fu quella che mi costò di più perchè doveva essere uno scambio equo e invece fu a mio completo svantaggio: era la chiave che apriva il portagioie in cui custodivo la mia sincerità; dovevo capirlo che stavo facendo affari con un mercante di bugie, ma io vedevo solo un candido angelo con al collo la chiave del cassetto del mio cuore e mi fidai, così donai la chiave della sincerità e inconsapevolmente anche quella della fiducia ( che forse riuscì a sfilarmi non appena mi voltai). Lui in cambio mi dette una chiave d’oro, piena di pietre preziose che prometteva bene, che suscitava ammirazione e sussulti di stupore ma che scoprii ben presto essere solo paccottiglia. Solo con il tempo le cose si rivelano per ciò che sono e la sua chiave della sincerità mostrò ben presto il suo vero valore. Fu l’affare peggiore della mia vita.

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La quinta o sesta chiave ancora una volta mi ritrovai a regalarla io e anche di questa mi risultò molto difficile privarmi: era quella dell’immenso armadio del mio orgoglio. Rinunciare al proprio orgoglio è un pò come abbattere un muro che hai costruito nel tempo, ogni mattone è una delusione, ogni mattone è un :”d’ora in poi penserò a me stessa prima di ogni altra cosa”…quando buttai giù quel muro all’apparenza così saldo e forte, mi accorsi di quanto in realtà fosse estremamente fragile: andò giù come se avessi tirato una martellata ad un panetto di burro, e continuava a sciogliersi anche una volta distrutto, come a volermi dire: “hai visto cosa avevi costruito? era solo una barriera di biscotti e marzapane che alla prima pioggia sarebbe crollata!”. Fu una scelta azzardata ma non me ne pento.

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Poi il mercante di bugie arrivò da me, un giorno qualunque, con un bel pacchetto regalo, con un fiocco rosso, di quelli che vedi solo nei negozi i giorni prima di Natale, così belli, così troppo belli per essere veri. Eppure era lì, di fronte a me e me lo stava porgendo, voleva davvero donarmi qualcosa e senza che io avessi chiesto niente. Aprii il pacchetto con un certo dispiacere per la bella confezione, e dentro c’era un cuore di vetro, così fragile, così vero, così troppo sincero per appartenere al mercante di bugie…eppure io sentivo che era reale, era la cosa più bella che avessi mai visto e la sua fragilità era anche la sua bellezza. Decisi che lo avrei tenuto come se fosse il mio, lo misi su un piedistallo accanto al mio letto, così che potessi vederlo sempre, che potessi prendermene cura, ogni giorno lo lucidavo e mi assicuravo che fosse saldo, non mi sarei mai perdonata se fosse accidentalmente caduto. Fu il regalo più bello che io abbia mai ricevuto.

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Le chiavi che seguirono furono chiavi che decisi di forgiare sul momento: la chiave della delusione, la chiave della disperazione, quella della rabbia, quella della rassegnazione, quella della solitudine e in più le chiavi che avevo donato si stavano distruggendo: la chiave della fiducia si era spezzata in due, la chiave del cassetto del mio cuore non entrava più nel lucchetto e il cuore che conteneva era a terra, calpestato più e più volte, e ormai morente supplicava che lo riprendessi con me, ma ogni volta che  provavo a portarlo via, era come se non ci riuscissi…e anche lui non riusciva ad abbandonare il suo aguzzino, che un tempo aveva così tanto amato.

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Infine, l’ultima chiave che mi fu regalata fu la chiave di una promessa: una chiave a forma di bolla di sapone, così facile da rompere ma nonostante questo la accettai subito, convinta che sarebbe durata, che il vento non l’avrebbe fatta scoppiare in un “Puff”. 

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La cosa strana è come le chiavi a volte riescano a incastrarsi nelle serrature e non uscirne più…questo è quello che successe a una delle mie chiavi, che decise di rimanere incastrata nella serratura della cassaforte della mia speranza. E’ rimasta lì e per quanto mi sforzassi a tirarla fuori non ci sono mai riuscita, la speranza rimaneva sempre al suo posto e la chiave mi impediva di farla uscire e gettarla via da qualche parte, dove nessuno, compresa me, sarebbe mai riuscito a ritrovarla. Rimase lì molto a lungo, finchè un giorno bastarono poche parole, una sola frase e la chiave cadde da sola. Fu un suono secco, un “Dlin” che riempì la stanza e quando mi avvicinai vidi che la speranza non c’era più, aveva deciso di andarsene da sola…e improvvisamente sentii un vuoto che mi pervadeva, non c’era più niente attorno a me, erano sparite tutte le chiavi e con esse tutto ciò che avevano celato e custodito con tanta fermezza.

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Solo qualche istante dopo capii che quello non era il vuoto, era l’ultima chiave…quella più importante di tutte: la chiave della consapevolezza; la consapevolezza che non possiamo pretendere di essere amati nello stesso modo in cui noi amiamo, che non possiamo costringere le persone a cui decidiamo di regalare le nostre chiavi a metterci al centro della loro vita anche se noi abbiamo fatto di loro il centro del nostro universo. Mercanti di bugie e fabbricanti di chiavi..la verità è che siamo tutti venditori di sogni e il nostro migliore acquirente di solito siamo noi stessi, autoconvinti di essere indispensabili, illusi di essere importanti.

 

Di come il figlio dell’Amore divenne Odio

Buio, Oscurità, nero manto della notte, avvolgente come l’abbraccio dell’Amore.

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E’ l’Amore che lo ha generato ed ora il figlio ingrato si oppone con la forza al padre perché Amore lo ostacola, ferma il suo volo verso l’ignoto, lo riporta a terra, su questa terra arida di speranza, dove i sogni non prendono vita.

E’ Odio, figlio di Amore, ribelle ragazzo che non vuole crescere e accettare la realtà privata dell’illusione.

E’ Odio, figlio di Amore, che spande il suo grido di dolore su tutti i mari e le coste.

E’ Odio, figlio di Amore, che ripudia il padre per rifugiarsi nel suo mondo, dove tutto è ancora possibile; Odio non pensa, è guidato solo dall’istinto, e ingenuo, si dirige là dove pensa non nascano i fiori, là dove crede vi sia sempre l’inverno.

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Ma poi si ritrova a piangere su uno scoglio, privo di tutte quelle difese che non ha fatto in tempo a costruire e si accorge di essere piccolo… Si accorge che non ci sono isole nascoste agli adulti dove i bambini, come lui, possono vivere, dimenticati dal tempo e dalla morte.

Si accorge che la sofferenza vive dentro di lui da molto tempo e non è riuscito ad evitare il dolore semplicemente pensando che non esistesse.

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 Si accorge di essere ricoperto di ferite, che sanguinano ma che vede per la prima volta.

E lui, Odio, che aveva giurato che dai suoi occhi non sarebbero mai uscite lacrime, ora piangeva, piangeva per tutte quelle volte che non lo aveva fatto, piangeva per quelle ferite, di cui si era accorto troppo tardi ed ora, incurabili, lo conducevano verso la fine.

E proprio durante l’incessante corsa verso il traguardo finale, ricordò il momento della sua nascita, quando venne chiamato a popolare questo mondo, ricordò suo padre, Amore: l’istante in cui lo vide per la prima volta fu anche il momento esatto in cui nacque l’ invidia, seguita dalla paura di non riuscire ad eguagliare la sua fama e la paura di deludere le aspettative che accompagnavano il suo arrivo.

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Da quel momento fu Odio e rise del male e provò indifferenza nei confronti del bene.

Ma non agiva: furono gli uomini ad invocare la sua presenza e a trasformarlo in strumento per i loro subdoli fini; gli uomini lo hanno reso  assassino e dopo aver ucciso la sua infanzia, averlo sfruttato, lo hanno gettato via lungo una strada, che ora lui considera la sua casa.

Odio è ancora su quella strada, non l’ha mai abbandonata, e ora muore sul suo asfalto freddo, ma sempre più caldo dei cuori di tutti quelli che ha conosciuto, incontrato, intravisto e sfiorato.

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Così muore Odio, figlio di Amore, amico dell’uomo, bambino che nessuno ha mai consolato, ragazzo sfruttato dalla giovinezza, eterno eroe incompreso del suo tempo.

 

Il lupo sarà sempre cattivo se ascoltiamo solo Cappuccetto Rosso

cappuccetto_rosso_by_palarran-d6bec1hCosa provi quando sei solo?
Cosa senti quando respiri in una stanza vuota?
Cosa vedi quando stai di fronte ad uno specchio?
L’eco dei miei passi si staglia feroce nel silenzio di una casa deserta mentre il fragore delle voci nella mia testa mi porta sul baratro della disperazione e sono sospesa in quel momento in cui non sai se cadrai o se rimarrai per sempre in bilico tra una vita di solitudine e un mondo pieno di persone false.

Io aspetto di cadere da così tanto tempo che non ricordo neanche il momento esatto in cui ho cominciato a perdere l’equilibrio.

Stare in bilico richiede uno sforzo talmente alto che quando cadrò spero che duri per l’eternità necessaria a riposarmi.

La cosa strana, la cosa davvero strana è che a volte ti puoi trovare già sul fondo del baratro senza neanche aver saltato, senza sapere perchè ci sei…e poi capisci che qualcuno ti ci ha gettata dentro, ed è in questo momento che inizi a farti domande: chi è stato? perchè l’ha fatto? voleva davvero farlo o è stato un errore?

La verità è che sbagliamo fin dall’inizio, sbagliamo a credere che ciò che succederà nella nostra esistenza dipenda solo ed esclusivamente dalle nostre decisioni, dalle scelte che facciamo, ma in realtà dipende in gran parte da ciò che gli altri decidono di farci. Il nostro unico e grave errore è quello di scegliere di circondarci di altre persone, è quello di volere a tutti i costi includere nelle nostre vite altri individui, che fondamentalmente non avranno mai la stessa percezione che noi abbiamo di noi stessi e non avranno mai per noi la stessa considerazione che noi abbiamo per loro e in questo rapporto così impari il differenziale che si viene a generare risulta sempre essere a nostro svantaggio.

Possiamo scegliere di chi circondarci, possiamo stare attenti a non fare passi falsi, possiamo dare più di ciò che riceviamo nell’assurda convinzione che tutti questi gesti verranno notati e apprezzati, che un giorno la nostra dedizione sarà ricompensata, ma alla fine di tutta questa messa in scena ci rimane solo una grossa delusione che, seppur ben confezionata, fa discretamente male.

La verità è che non ci dovremmo mai aspettare nulla da nessuno, a parte qualche pugnalata, rigorosamente alle spalle, nel corso del tempo. Eppure rimaniamo attaccati alla convinzione che non tutti sono uguali e a quello stupido detto: “Non fare di tutta l’erba un fascio”. 

Rincorriamo l’utopia che a questo mondo dovrà pur esistere una persona che non ci deluderà, che ci aiuterà in modo disinteressato quando ne avremo bisogno, che non ci mentirà ad ogni buona occasione, che non nasconderà tutti i problemi sotto un tappeto sperando che nessuno lo alzi mai, che non sarà sempre pronta a metterci in cattiva luce solo per uscirne pulita…come se ci fosse ancora qualcuno che crede nei santi.

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Storia di una bambina triste

“La storia inizia più o meno come tutte le altre storie già raccontate e quasi scuramente non aggiugerà nulla ai racconti dell’infanzia di ogni bambino, non vi darà niente in più di quello che già avevate, non avrà una morale nascosta, non vi susciterà nessuna emozione, ma la scriverò comunque perchè per quanto sia comune, banale, priva di senso e incompiuta, è pur sempre la mia storia.”

pezzaQuesta è la storia di una bambina triste che aveva deciso di non di parlare, di non comunicare in ogni altro modo,rimanendo il più possibile estranea alla realtà in cui si trovava immersa.
Era nata sì ma da allora nulla.
Non c’era stato alcun cambiamento in lei e nessun segno significativo di crescita, era rimasta tale e quale al momento della nascita.
Sembrava una bambola di porcellana.
Involucro senz’anima di una vita che non sembrava volere.
Perchè non cresceva? Non ne aveva voglia, non c’era nulla che la spingesse a farlo, non ne capiva il senso: vedeva tutte quelle persone che si affaticavano a cercare sempre qualcosa, ne avevano tante di cose attorno ma ce n’era sempre una che cercavano con più ardore e sembrava sfuggirgli.
Era una buona osservatrice: dalla sua culla muoveva i suoi occhietti vispi verso le ombre, aveva imparato a riconoscerle tutte. C’era quella che sulla testa portava una specie di cilindro con delle spille: era quella che molto spesso la sollevava e non sembrava per niente condividere la sua decisione di non crescere, ma la cosa che la disturbava di più era il fatto che non parlasse ancora, perchè come diceva: “Tutti i bambini di quell’età parlano già fluentemente e camminano persino, senza alcun sussidio”.
Poi c’era l’ombra buona, si riconosceva perchè era la più alta di tutte, era l’unica ombra che non le rivolgeva mai rimproveri, aveva sempre una parola gentile e sembrava non dare alcun peso alla sua statura, alla sua poca loquacità o alla sua mancanza di movimenti tipici dei bambini di quell’età.1womanwithcandleontableshadow
Infine c’era l’ombra che non veniva quasi mai a trovarla, rimaneva sempre sulla soglia della porta, la osservava per un pò e poi se ne andava.

Questa è la storia di una bambina delusa che aveva deciso di non muoversi perchè aveva paura di cadere.
Era nata sì, ma appena fuori dal limbo dei bambini aprì gli occhi per la prima volta e la prima cosa che vide fu un mazzo di rose su un comodino: erano così…così…gli sembrava di sentire di nuovo il calore che aveva provato fino a un attimo prima, e poi c’era un alone attorno a quei fiori, quasi un’aura di gentilezza e tenerezza che le aveva fatto percepire una sensazione di appartenenza.
Ogni giorno, quando era sveglia, guardava quel mazzo di fiori, finchè un giorno arrivò un ombra strana, mai vista prima e si inglobò per un istante con l’ombra delle rose, solo che quando si staccò di nuovo, l’ombra delle rose non era più al suo posto, era sparita; solo dopo farneticamenti vari e un pò di sussulti , capì che l’ombra dei fiori era più in basso.
L’ombra sconosciuta prese il mazzo e lo gettò via, infilandolo in un secchio.
Le cose che cadono non sono più degne di esistere. Le cose che cadono si buttano nei secchi e poi spariscono.

Questa è la storia di una bambina disillusa che aveva deciso che non avrebbe mai parlato perchè aveva paura di non aver niente da dire.
Era nata sì, ma ancora prima di farlo, aveva ascoltato molto le voci che venivano da fuori. le voci parlavano e facevano discorsi complessi e articolati: una voce iniziava e l’altra subito dopo interveniva; a volte erano anche più di due, ognuna con un tono diverso.
Quelle che le piacevano di più erano le voci che intonavano, quelle che si esprimevano attraverso la musica, amava ascoltare quelle voci, anche se a volte si interrompevano bruscamente.
Non vedeva l’ora di poter parlare ma soprattutto di poter intonare, finchè un giorno la voce dura, quella con il tono basso, disse all’altra, quella soave e squillante, che se non aveva nulla da dire avrebbe fatto bene a star zitta.
E da quel momento l’aspirante bambina iniziò a pensare a cosa avrebbe detto una volta che fosse andata nel mondo del fuori e si accorse che non lo sapeva, non aveva la minima idea di quali sarebbero state le sue prime parole o quale il suo primo discorso lungo.
Le persone che non hanno niente da dire fanno bene a star zitte.

Questa è la storia di una bambina che aveva deciso che non sarebbe mai cresciuta perchè aveva paura di non essere accettata.
Era nata sì e dopo poco tempo era stata subito avvolta da qualcosa: era qualcosa che non le piaceva, non era naturale e le dava una sensazione di fastidio ogni volta che tentava di divincolarsi.
Le ombre parlanti sembravano sembravano sempre preoccuparsi che lei fosse ben coperta e avvolta nella cosa ignota, finchè un giorno l’ombra dalla voce squillante disse che la cosa ignota non era più in grado di avvolgerla come doveva, come era raccomandabile, così il giorno dopo arrivò un’ altra cosa sconosciuta, leggermente più confortevole di quella precedente.
Successivamente seppe che anche le ombre parlanti si avvolgevano con quelle cose che lei non sopportava, l’ombra dalla voce squillante si lamentava sempre del fatto che non ce ne fosse mai una che la avvolgesse al meglio, e ogni volta esprimeva la speranza che la sua bambina non diventasse come lei. Si rivolgeva all’ombra buona e si raccomandava: la bambina non avrebbe dovuto mai cibarsi fuori dagli orari consentiti, sennò neanche per lei ci sarebbero state cose in grado di coprirla perfettamente, nel modo in cui è raccomandato dalla cosa chiamata società.
A quanto pare questa società dettava delle regole molto serie e rigide a cui tutte le ombre parlanti sembravano essere completamente devote, tanto che se non riuscivano a rispettarle si punivano, si rimproveravano e a volte addirittura piangevano e si disperavano. Come l’ombra dalla voce squillante che di notte singhiozzava nel buio della sua camera perchè non riusciva a entrare nelle cose ignote nel modo appropriato, nel modo consentito dalla cosa chiamata società.
La bambina, ancor più triste e sconsolata, decise che non sarebbe mai cresciuta, così la cosa ignota che la avvolgeva in quel momento le sarebbe rimasta per sempre addosso senza alcun problema e la società non avrebbe mai potuto dir nulla al riguardo: sarebbe rimasta fedele alle regole e per lei non sarebbe mai esistita la sofferenza di un fallimento.
E’ bene che si rimanga sempre fedeli alle regole della società perchè se si sbaglia, uscire fuori dalle regole causa sofferenza.

La bambina che salvava i libri

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 ” La gente tende a notare i colori di  una giornata solo all’inizio e alla  fine, ma per me è chiaro che in un giorno si susseguono un’infinità di sfumature e tinte, in ogni istante. Una singola ora può essere composta da migliaia di colori diversi. Gialli cerei, azzurri plumbei. Tenebrosa oscurità. Nel mio lavoro mi picco di notarli tutti.”

                   Prima i colori.

                       Poi gli esseri umani.

                                  E’ così che di solito vedo le cose.

       O almeno ci provo.

 

Queste sono le frasi di apertura del libro, un libro la cui narrazione viene affidata ad un personaggio che non ne fa parte ma allo stesso tempo ricopre un ruolo fondamentale, a qualcuno che, come il lettore, è spettatore , ma contemporaneamente guida e  chiave di lettura della storia, narratore,  autore e interprete principale di un racconto, che è : la vita di una ragazza, qualche parola, un suonatore di fisarmonica, alcuni tedeschi fanatici, un pugile ebreo e un bel po’ di furti…. queste sono le sue parole, le parole della Morte.

°°° UN ANNUNCIO RASSICURANTE °°°

Stai tranquillo, non badare al mio tono minaccioso.

Sono solo una chiacchierona.

Non sono violenta.

Non sono cattiva.

Sono un esito.

E la Morte non è solo un’ attenta osservatrice, preparata solo a regalarci una fredda descrizione dei fatti, infatti, il più delle volte ci mostra il suo coinvolgimento, ci fa capire come sia impossibile rimanere in disparte e osservare con distacco quelle vite, che inevitabilmente un giorno verrà a riscattare e che si affaccendano nella loro misera condizione di esseri umani, esseri umani che incrocia più volte nel corso della loro esistenza e per alcuni finisce per provare persino qualcosa…

” Mi meraviglia sempre la forza degli esseri umani, che riescono a rialzarsi, seppure barcollando, persino quando fiumi di lacrime inondano i loro volti”.

°°° ULTIMA POSTILLA °°°

DELLA VOSTRA NARRATRICE

Sono perseguitata dagli esseri umani.

Ma questo libro non è solo una narratrice particolare, è la storia universalimagesPFKOF4GMe dell’essere umano alla ricerca di una vita migliore, che quando pensa finalmente di averla trovata, viene travolto da qualcosa  contro cui non può vincere: inizia così il racconto di una bambina catapultata nella realtà di una guerra, che fa da contorno ad una vita semplice ed è una cosa così lontana da lei, che sembra quasi non concepirla, è una guerra che rimane a fare da sfondo, nonostante coinvolga tutti quelli che le stanno accanto, è una guerra che le porta via tutti quelli che ama di più ma non diventa mai la sua guerra.

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Liesel combatte per salvare i libri, che sono i ricordi di tutte quelle persone perse e di quei momenti di felicità passati;  questa è la sua battaglia: tenere vivi quei ricordi, perché così continuerà a sentire vicino a lei quel fratellino, morto sul treno che l’ha condotta al suo nuovo inizio, quel padre, impegnato a combattere in quella guerra che non le appartiene e quell’amico, con cui aveva condiviso tanto e che  aveva tanto cercato di proteggere ma che alla fine le era stato strappato ugualmente. Non le resta altro che questo: racchiudere la fugacità di questi ricordi nelle pagine dei suoi libri, e, qualunque cosa accada, salvarli, in modo che possano continuare a vivere per sempre.

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Infine è la storia di una promessa.  

Di come l’Inevitabile venne a trovarmi e io rimasi immobile e guardarlo, senza parlare….

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Certo che quando ti trovi a cambiare tutta quella che hai sempre considerato la tua vita da un giorno all’ altro, le priorità vanno di diritto all’ ultimo posto della lista delle cose importanti…tutto si inverte, tutto diventa inutile e privo di senso per chi vive perennemente in un incubo…e non si torna indietro per quanto si possa sperare… forse è meglio così, perché l’abbandono è più dolce quando vedi un possibile ricongiungimento in un futuro indeterminato, ma diventa effettivo solo quando capisci che niente sarà più come prima. Ti stacchi da una cosa solo quando capisci che non potrà durare per sempre…perché l’uomo è per sua natura egoista…pensa a se stesso in continuazione, tutte le sue azioni sono improntate al suo benessere, e nulla potrà spostare la sua opinione dal credere che ogni singola cosa ruoti attorno a lui e in funzione di lui.

Così appena ti accorgi che qualcosa dovrà finire prima o poi, la lasci prima che questa lasci te, nulla delusione e nello sconforto di un abbandono. L’egoismo ci caratterizza in ogni nostra azione, mosso da quell’istinto di sopravvivenza che ci portiamo dietro da sempre, e che mai lascerà la nostra strada, perché alla fine ci fa comodo credere che sopravvivremo perché il mondo ha bisogno di noi, e credere che niente ci potrà mai toccare solo perché fino a quel momento è andato tutto bene e nulla ha mai sconvolto le nostre misere vite. Si, ogni cosa cambia, e cambia per tutti; solo che quando ce ne accorgiamo è già volata via e non ha lasciato altro che un vuoto incolmabile dentro di noi…potremo provare a riempirlo ma ad ogni ricordo si svuoterà sempre e tornerà quel senso di mancanza, che non trova risposta, perché non esiste risposta ad una delusione.

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Che risposta può avere un sogno infranto?…

Lascio che ogni cosa scivoli via come fa la pioggia quando bagna i tetti, le strade, gli alberi e le persone…scivola su di loro, e quando torna il sole le abbandona per sempre, non lasciando traccia di sé, se non un cappotto bagnato, che con il tempo si asciuga e torna come prima, senza cambiamenti esteriori,senza tracce di deterioramento, senza niente che possa far dedurre ciò che ha passato…

È così anche per me… all’ apparenza nulla è cambiato, ma all’ interno, dove nessuno può arrivare a scorgere niente, lì si, c’è qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo…ma se sia qualcosa di buono o sia un briciolo di cattiveria in più non so dirlo……lo dirà il tempo, l’arbitro più imparziale che esista.

Molte volte, quando accendo un fuoco, spero che piova presto.

 

Per tutti quei momenti in cui senti l’impellente bisogno di calma e serenità, per tutti quei momenti in cui non c’è niente di meglio del proprio piccolo mondo, della stabilità di un porto sicuro, che ci sarà sempre e, per quanto si possa andare lontano, il nostro cuore sarà sempre in grado di ritrovare la strada di casa….

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” La stretta luce della lampada, il focolare; la fantasticheria, col dito sulla tempia e gli occhi che si perdono negli occhi tanto amati; l’ora del tè fumante, l’ora dei libri chiusi; sentire dolcemente la sera che finisce; la fatica piacevole e l’adorata attesa di quell’ombra nuziale e della dolce notte: oh, tutto questo insegue il mio sogno, commosso, senza posa, attraverso inutili rinvii, per i mesi impaziente, per i giorni furioso.”

Immagine“Il chiasso dei caffè, il fango della strada, i platani che perdono foglie nell’aria scura, l’omnibus, uragano di ferraglia e di melma, che stride sobbalzando sulle quattro ruote e rotea lentamente gli occhi suoi verdi e rossi, gli operai che vanno al club fumando pipe sotto il naso di agenti di polizia, tetti gocciolanti, selciati sdruccievoli, muri umidi, traboccanti fogne, bitume rotto: il mio percorso è questo – e il paradiso è in fondo.”

– Paul Verlaine

Il Signore delle Mosche

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“Te ne sei accorto, no?

Jack posò la lancia e si accovacciò per terra.

“Di che cosa?”

“ eh…che hanno paura”.

Si rigirò e guardò la faccia sporca e feroce di Jack.

“ Hai visto come vanno le cose. Hanno dei sogni. Si fanno sentire. Sei mai stato sveglio, di notte?”

Jack scosse il capo.

“Parlano e gridano. I piccoli. Anche qualcuno degli altri. Come se…”

“Come se l’isola non fosse magnifica”.

 Ho profondamente odiato questo libro: l’ho odiato quando sono stata obbligata a leggerne alcuni passaggi per la scuola e l’ho odiato di nuovo quando, spinta da non so quale istinto indecifrabile, ho deciso di comprarlo e leggerlo interamente. Ho pensato e ripensato a quali fossero quegli elementi che me lo rendessero così insopportabile e, mentre provavo, con scarsi risultati, a stendere una lista dei suoi aspetti negativi, sono arrivata alla conclusione che non ci sono particolari scene o fattori che me lo hanno reso intollerabile: l’ho odiato proprio nell’insieme.

E probabilmente questo è anche il suo obiettivo: ti mette davanti ad una realtà senza speranza, ad un’umanità che si lascia sopraffare, ti dice non solo che il singolo, quando si trova nel gruppo, non avrà alcuna possibilità di imporre il suo volere, ma non proverà neanche ad avanzare la sua individualità, ti mostra che, in una situazione di sopravvivenza, l’uomo, chiunque esso sia, anche un bambino, metterà sempre la propria vita, il proprio benessere davanti a tutto, non si farà scrupoli di uccidere, se ciò significherà salvare se stesso.

E’ un libro che non ci consegna nessun messaggio di speranza: siamo tutti uguali, la bestia si nasconde in ognuno di noi, si nasconde dietro la vita di tutti giorni e le facili conquiste e aspetta solo la prima buona occasione, il primo momento di difficoltà, per manifestarsi. Nascondiamo la bestia ogni giorno, ogni momento, pensando di essere immuni al suo fascino e alla sua influenza, pensiamo di esserne i padroni, ci illudiamo di saperla dominare, ma in realtà è lei che ci domina, ci uccide giorno dopo giorno, lentamente, così che non siamo in grado di accorgerci di niente; finché un bel giorno non ci rimane più niente, siamo in tutto e per tutto la bestia, e non c’è possibilità di tornare indietro….

Questo è quello che non sono stata in grado di sopportare: una visione di inevitabile fallimento, a cui va incontro ogni essere umano, la più completa mancanza di fiducia nel singolo e nella coscienza individuale, ma soprattutto, ciò che proprio non riesco a sostenere è  quella fastidiosissima vocina, a cui cerco di non dare ascolto, che, incessante, mi bisbiglia che potrebbe davvero essere così….

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“ L’ avevano già immaginato, che quella era un’isola: mentre si arrampicavano tra le rocce rosa, col mare sui due lati, nell’aria cristallina dell’altura, avevano capito per istinto che il mare li circondava. Ma per dire l’ultima parola aspettarono, come era giusto, di essere sulla cima, e di vedere un orizzonte d’acqua tutto in giro. Ralph si volse gli altri. “E’ tutta per noi”.

 “ Il silenzio della foresta era più opprimente del calore, e a quell’ora del giorno non c’era nemmeno il ronzio degli insetti. Solo quando Jack fece alzare un uccello variopinto da un primitivo nido di stecchi, il silenzio fu turbato, e un grido acuto, che sembrava venire dagli abissi del tempo, suscitò echi lunghissimi. Jack sbalzò lui stesso a quel grido, aspirando aria con un sibilo, e per un minuto più che un cacciatore fu un essere furtivo, scimmiesco, tra l’intrico degli alberi”.

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“Improvvisamente, mentre camminava lungo l’acqua, si sentì sopraffatto dallo stupore. Si accorse che cominciava a capire come fosse faticosa quella vita, nella quale ogni sentiero era nuovo, e una parte considerevole del tempo in cui si stava svegli si doveva passarla a guardarsi i piedi. Si fermò, osservando la sabbia, e ricordando la prima esplorazione entusiastica come se fosse parte di un’infanzia più bella, sorrise con scherno.”

 “ Ho convocato l’assemblea” disse Jack “ per un mucchio di cose. Prima di tutto, ormai lo sapete…abbiamo visto la bestia. Siamo andati su adagio adagio. Eravamo solo a pochi centimetri di distanza. La bestia si è tirata su e ci ha guardati. Non so che cosa faccia. Non sappiamo neanche cosa sia….”

“E’ una bestia che viene fuori dal mare….”

“Dal buio…”

“Dagli alberi..:”

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“Maurizio e Roberto infilzarono la carcassa, l’alzarono, e pronti a muoversi, i silenzio, in piedi sul sangue ormai secco, diedero intorno uno sguardo furtivo. Jack parlò ad alta voce:

“ Questa testa è per la bestia. E’ un dono.”

Il silenzio accettò il dono e li impaurì. La testa rimase lì, con gli occhi velati, con una specie di ghigno, col sangue che diventava nero tra i denti. Tutto d’un tratto si misero a correre, più in fretta che potevano, per la foresta, verso la spiaggia aperta.”

 “Non c’erano ombre sotto gli alberi, ma dappertutto una calma perlacea, e ciò ch’era reale sembrava un’illusione, qualcosa di vago. Il mucchio delle budella era un grumo nero di mosche che ronzavano come una sega. Dopo un po’ le mosche scoprirono Simone e, ormai sazie, si posarono lungo i suoi rivoletti di sudore, a bere. Gli fecero il solletico sotto le narici, gli saltellarono sulle cosce. Erano innumerevoli, nere e d’un verde iridescente; e di fronte a Simone il Signore delle Mosche ghignava, infilzato sul bastone. Alla fine Simone cedette e riaprì gli occhi: vide i denti bianchi, gli occhi velati, il sangue…e restò affascinato, riconoscendo qualcosa di antico, di inevitabile.”

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“Il cielo oscuro fu squarciato da una cicatrice bianco-azzurra. Un istante dopo il tuono si rovesciò su di loro come una frusta gigantesca. La cantilena salì di tono, freneticamente.

“Prendetelo! Ammazzatelo! Scannatelo!”

Ora dal terrore nasceva un altro desiderio, compatto, impellente, cieco.

“Prendetelo! Ammazzatelo! Scannatelo!”

Di nuovo balenò su di loro la cicatrice bianco-azzurra e proruppe l’esplosione sulfurea….

“La bestia! La bestia!”

Il cerchio diventò un ferro di cavallo. Qualcosa veniva fuori dalla foresta. Veniva avanti al buio, strisciando, non si capiva come. Gli strilli acuti che s’innalzavano davanti alla bestia erano pungenti come una ferita. La bestia entrò barcollando nel ferro di cavallo”.

 “ Subito la folla la inseguì, scese dalla roccia, balzò sulla bestia, strillò, colpì, morse, strappò. Non ci furono parole, solo una furia di denti e di unghie che laceravano.”

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“Dopo un po’ il mucchio si ruppe e si risolse in figure barcollanti che se ne andavano. Solo la bestia restò ferma, a pochi metri dal mare. Anche nella pioggia essi poterono vedere che la bestia era piccola, e già il suo sangue macchiava la sabbia.”

 “Sull’orlo interno della laguna, dove l’acqua era più bassa, quel chiarore che avanzava era pieno di strane forme che sembravano animali dal corpo fatto di raggi di luna e dagli occhi di fuoco”.

 “La grande onda della marea veniva avanti su tutta l’isola e l’acqua si alzava. Adagio adagio, circondato da una frangia di forme lucenti che sembravano indagare, il corpo morto di Simone, fatto d’argento anch’esso sotto le costellazioni tranquille, si mosse verso il mare aperto”.

“Ci sono degli adulti… dei grandi, con voi?”

Muto, Ralph scosse il capo. Si voltò un po’ indietro. Sulla spiaggia c’era un semicerchio di ragazzi immobili, dipinti a strisce di creta colorata, con bastoni aguzzi in mano: non facevano nessun rumore.

“Ve la spassate” disse l’ufficiale. Il fuoco raggiunse le palme lunga la spiaggia e le inghiottì fragorosamente. Una fiamma, che sembrava staccata, oscillò come un acrobata e lambì la cima delle palme della piattaforma. Il cielo era nero.

L’ufficiale sorrise allegramente a Ralph.

“Abbiamo visto il vostro fumo. Che cosa avete fatto? Una specie di guerra?”

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“Non avrete ammazzato nessuno, spero. Ci sono dei morti?”

“Solo due. E il mare li ha portati via.”

“Ora saltavano fuori degli altri ragazzi, alcuni dei quali molto piccoli, scuri, con le pance gonfie dei piccoli selvaggi.

Uno di essi venne vicino all’ufficiale e guardò in su.

“Io sono, io sono….”

Ma non venne fuori nient’altro. Percival Wemys Madison cercava nella sua memoria una formula magica che era svanita completamente